La dottoressa Maria Cristina Bonanni, tecnico della riabilitazione presso la casa di cura Villa San Giuseppe di Ascoli Piceno, di Suore Ospedaliere, che qui svolge il suo ruolo dal 2014, ci racconta la sua esperienza professionale nella riabilitazione.
Abbiamo raccolto la sua testimonianza anche in un breve video che trovate nella nostra pagina Facebook cliccando qui
Potrebbe descriverci brevemente in cosa consiste il suo lavoro di tecnico della riabilitazione psichiatrica presso le Suore Ospedaliere?
Il mio lavoro da Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica presso la Casa di Cura consiste nell’accoglienza dell’utente, la sua valutazione funzionale e la definizione grazie alle informazioni raccolte dell’intervento riabilitativo scelto. Gli interventi possono essere di gruppo o individuali purché sempre concordati e condivisi con l’utente.
Come integra il carisma ospedaliero delle Suore Ospedaliere nel suo lavoro quotidiano con i pazienti?
Il carisma delle Suore ospedaliere lo integro attraverso la collaborazione, la solidarietà, l’ascolto attivo, l’empatia, il supporto ed il sostegno accompagnando l’utente passo dopo passo nel percorso di cura ed i collaboratori in un rapporto di continua modifica personale e crescita esperienziale.
Da un punto di vista professionale, quali sono le principali tecniche o approcci che utilizza nella riabilitazione psichiatrica per accompagnare i pazienti nel loro processo di recupero?
Le principali Tecniche che utilizzo sono di orientamento cognitivo comportamentale volte alla modifica di un comportamento disfunzionale con uno funzionale. All’interno del servizio di riabilitazione svolgo diverse attività quali: valutazioni del funzionamento personale, sociale e globale al fine di individuare le aree deficitarie, sedute informative sui disturbi psichiatrici ed i loro trattamenti (psico-educazioni), riabilitazione cognitiva (Cogpack, R.O.T., Riab. Sensoriale) al fine di stimolare e/o mantenere le abilità cognitive residue, Re-insegnamento di abilità sociali (Social Skills Training) al fine di innalzare la qualità di vita percepita dall’utente in termini di lavoro/occupazione/formazione- cura del sé/ambiente-gestione del tempo libero-gestione delle emozioni- comunicazione efficacie.
Come pensa che la riabilitazione psichiatrica possa trasformare la vita delle persone con malattia mentale?
Credo che la malattia mentale impatti fortemente sulla vita delle persone causando dolore e perdite significative. Seguendo un piano ben strutturato di attività pianificate la persona contenuta e stimolata quotidianamente può tornare a funzionare in molte aree quali il lavoro, le relazioni sociali, le relazioni familiari, la gestione dello stress, delle frustrazioni e delle emozioni.
Ci sono progetti recenti o in corso in cui siete coinvolti nel centro che vorreste condividere con noi?
Sono interessata da sempre a fare uno scambio con le altre case Italiane e non delle Suore Ospedaliere al fine di poter osservare e imparare nuove metodiche e strategie di fronteggiamento clinico, costruire nuove relazioni interpersonali, conoscere nuove culture, perfezionare o imparare nuove lingue. Inoltre non escludo l’interesse di coinvolgervi nel progetto di Montagnaterapia di cui mi occupo personalmente anche per condividere una co-presenza annua.
Qual è stata la sfida più grande che ha affrontato lavorando nella riabilitazione psichiatrica e come l’ha superata?
Spesso ho incontrato limiti e difficoltà, nel tempo ho lavorato sulla mia impulsività attenuandola, ho lavorato molto sul lavoro di squadra e sull’analisi dei bisogni collettivi; spesso siamo molto concentrati sui nostri bisogni o sulla voglia di scalare prontamente posizioni che ci dimentichiamo che tutti abbiamo scelto lavori di aiuto perché mossi dal credo nel cambiamento. Altri si immergono troppo nell’altro oltrepassando i confini terapeutici, accudendo eccessivamente i bisogni dell’altro o sostituendosi alle figure familiari. Si sovraccaricano queste figure pagandone poi in un calo repentino di energie e risorse, sentendosi poi sopraffatti. Questo arreca danno anche al paziente che già possiede i suoi affetti ed ha solo bisogno di essere guidato con fermezza e chiarezza, senza doppi messaggi che lo confondano. Nel corso degli anni molti scordano da dove veniva la loro scelta di lavoro e si allontanano dai valori di equità, giustizia, trasparenza, solidarietà e di umanità. Resta sicuramente difficile trovare e capire la giusta distanza o il momento della vicinanza, richiede immensa elasticità. Motivo per il quale anche noi richiediamo a mio avviso un supporto psicologico che ci consenta di restare entro le linee guida delle buone norme da seguire.
Può condividere una storia o un’esperienza che l’ha segnata durante il suo lavoro presso le Suore Ospedaliere?
Vorrei condividere con voi la storia di una signora che si ricoverò nel 2016 per un disturbo dell’umore post partum, giunse da noi mutacica e delirante, ogni giorno con lei facevo sedute di riabilitazione cognitiva individuali, i primi giorni era difficile non vi erano segni di partecipazione, scriveva una parola su dieci da consegna ed anche male, a malapena pronunciava parole sottovoce, ma io ho continuato ogni giorno , un’ora a giorni alterni, esercizi carta e penna, stimolazione sensoriale rievocando ricordi passati piacevoli, creando collegamenti temporo-spaziali, toccando materiali diversi, annusando odori differenti. Dopo due mesi la signora scriveva e parlava correttamente e fluentemente. Il suo umore si era stabilizzato, così anche i suoi deliri affievoliti, la sua mente era tornata ad essere brillante. Nel mio cuore ho provato gioia nel perseverare, nel non demordere e nel non ascoltare quanti mi dicevano: ma chi te lo fa fare? non vedi che non serve a nulla? il tuo lavoro è solo una perdita di tempo! non vedi che non capisce niente?
Come pensa che il motto dell’ultimo Capitolo generale, “Rivestitevi di viscere di misericordia, segni profetici di speranza per l’umanità sofferente”, si rifletta nel suo lavoro quotidiano di tecnico della riabilitazione psichiatrica?
Solidarietà, misericordia e speranza devono rappresentare per me il buon esempio, “il buon modello sociale” deve saper accogliere con gentilezza, dialogare con gentilezza, ascoltare attivamente, partecipare con interesse e dedicare tempo all’altro in luoghi dedicati. Bisogna rispettare infine spazi personali, limiti emotivi ed avere un atteggiamento il più possibile non giudicante.
Quale messaggio vorrebbe dare alle persone che hanno familiari o persone care con malattie psichiatriche sull’importanza della riabilitazione?
Vorrei consigliare ai familiari di persone affette da disagio psichico di non proteggere attraverso l’omissione e la negazione di informazioni salienti poiché così ritardano l’inizio delle cure. Consiglio loro di avere il coraggio di chiedere aiuto, il coraggio di accettare e di non giudicare. Consiglio loro di partecipare al percorso di cura e cambiamento giorno dopo giorno al fianco dell’equipe che prende il carico la persona con disagio psichico (medici, infermieri, tecnici, educatori, oss). Solo attraverso la trasparenza e la collaborazione continua si possono raggiungere gli obiettivi terapeutici.
Grazie dott.ssa Bonanni per la sua testimonianza!