Nell’ambito della nostra missione di offrire sostegno e cure a coloro che affrontano le sfide della propria salute mentale, è fondamentale approcciarsi alla malattia di Alzheimer, che è stata definita come una “pandemia silenziosa”. Questa condizione non colpisce solo chi ne soffre, ma anche i suoi familiari e caregiver, che affrontano un complesso processo emotivo e fisico. Oggi, nelle Suore Ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù, abbiamo il privilegio di condividere le riflessioni di Mariana Correia, specialista in Psicologia Clinica e della Salute presso il Centro di Salute Espírito Santo (Terceira) nella Provincia del Portogallo. Attraverso la storia di sua nonna Mariazinha, Mariana ci offre una prospettiva profonda e commovente sull’impatto dell’Alzheimer sulla vita di tutti i giorni e sull’importanza della compassione, della memoria e della cura nelle nostre relazioni.
Di seguito, Mariana condivide la sua storia personale che illustra la realtà di molte famiglie che affrontano questa malattia.
Mariazinha: Una pandemia silenziosa
Non so da dove cominciare quando penso alle estati della mia infanzia. Ci sono così tante storie da raccontare, ricordi di altri tempi, registrati per sempre dalla forza dei legami che creiamo. Le estati sembravano infinite, trascorse a casa dei miei nonni sull’isola di Graciosa. Curioso come, in quel luogo dove vivevano, il tempo sembrasse essersi fermato; in “Pedras Brancas” non cambiava mai nulla. Tuttavia, nonostante la mia innocenza infantile, sentivo che qualcosa stava cambiando in quel luogo dove il tempo aveva congelato le tradizioni. Prima che me ne rendessi conto, la pandemia silenziosa si stava già diffondendo, insidiosamente.
Mia nonna, “Mariazinha”, era una donna molto speciale. Col passare del tempo, iniziò a dimenticare coloro che amava di più. Nelle estati che seguirono, ricordo di aver pensato quanto fosse divertente cantare per lei, perché ripeteva con me le parole e i ritornelli. Nel corso degli anni, ho visto mio padre diventare sempre più devoto a mia nonna, affrontando le difficoltà che sorgevano quando lei vagava per casa o si sentiva disorientata. Spesso aspettavo con impazienza l’ora del pasto, ricordando gli odori e i colori di altri tempi, aspettando il momento in cui sarebbe toccato a me dargli da mangiare. Ero felice di vederla sorridere. Ma quando la guardavo negli occhi, ormai vuoti, cercavo incessantemente mia nonna. Non cantava più, ma restava in silenzio.
Oggi, come psicologa, vedo tante “piccole Mariazinhas”, e in ognuna di esse vedo una donna speciale. Sono storie che hanno dimenticato, ma che noi continuiamo a ricordare. Parliamo di una delle maggiori sfide sociali, sanitarie e scientifiche del nostro tempo: l’Alzheimer (EA).
L’Alzheimer colpisce ogni persona in modo diverso, e i segni e i sintomi nelle prime fasi spesso passano inosservati, poiché l’esordio è graduale e il processo rimane silente per molti anni. Le tendenze demografiche l’hanno trasformata nella pandemia del XXI secolo. “È una pandemia silenziosa”, come l’ha definita Shekhar Saxena, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS).
I segni e i sintomi più comuni nelle prime fasi della malattia consistono solitamente nella tendenza a dimenticare, nella perdita della cognizione del tempo o nel disorientamento spaziale, anche in luoghi familiari. Man mano che la demenza progredisce, i sintomi diventano più evidenti e limitanti.
In questa fase, i colpiti iniziano a dimenticare avvenimenti recenti, ma anche i nomi dei propri familiari, si percepiscono fuori luogo nella propria casa, perdono fluidità nel linguaggio e diventa loro sempre più difficile esprimersi. Iniziano ad avere costante bisogno di aiuto nelle attività quotidiane, l’igiene e la cura di sé, e a subire cambiamenti comportamentali, come vagare per casa o ripetere le stesse domande. La funzione cognitiva compromessa è spesso accompagnata da una riduzione del controllo emotivo, delle interazioni sociali e della motivazione.
Nelle fasi più avanzate della malattia la disabilità è profonda e il paziente non è più in grado di prendersi cura di se stesso, diventando quasi totalmente dipendente e inattivo. I disturbi della memoria sono gravi e i sintomi fisici diventano più evidenti: crescente disorientamento nel tempo e nello spazio; difficoltà nel riconoscere la famiglia e gli amici; perdita della parola; crescente dipendenza dalla cura personale; difficoltà a camminare; e disturbi comportamentali che possono peggiorare.
Queste malattie possono essere devastanti non solo per le persone che ne soffrono, ma anche per chi si prende cura di loro e per i familiari. Inoltre, c’è spesso una mancanza di consapevolezza e comprensione di queste condizioni, che può portare alla stigmatizzazione dei pazienti e rendere difficile per loro la ricerca di servizi diagnostici e assistenziali adeguati.
Sebbene sia passato oltre un secolo da quando lo psichiatra tedesco Alois Alzheimer descrisse la malattia che avrebbe portato il suo nome, gran parte di ciò che sappiamo sulle sue origini e meccanismi è stata scoperta negli ultimi venticinque anni.
La ricerca degli ultimi anni ha permesso di diagnosticare la malattia di Alzheimer con maggiore precisione, in stadi sempre più precoci, fondamentale per prendere decisioni mediche e personali. Tuttavia, attualmente la diagnosi definitiva è possibile solo attraverso l’analisi neuropatologica post mortem del cervello, dopo l’autopsia, per determinare la presenza di placche senili e grovigli neurofibrillari.
La diagnosi di Alzheimer è complessa e si basa inizialmente sull’esclusione, il prima possibile, di altre patologie che potrebbero causare o contribuire alla progressione dei sintomi, come segni di precedenti ictus, depressione e altri tipi di demenza. Ciò è particolarmente importante se si tiene conto che si tratta di una popolazione che spesso presenta altre patologie, legate o meno all’età, e che è solitamente sottoposta a più trattamenti farmacologici contemporanei.
Molte persone si sono chieste se l’Alzheimer sia ereditario, cioè se si trasmetta dai genitori ai figli. Da un punto di vista genetico questa patologia può essere classificata in due tipologie. La stragrande maggioranza dei pazienti non ha una storia familiare della malattia, ma circa l’1% soffre di una variante ereditaria nota come Alzheimer familiare, che si manifesta nelle persone di età inferiore ai 60-65 anni, di solito intorno ai 50 anni. In effetti, gran parte di ciò che la scienza ha imparato negli ultimi due o tre decenni sulle cause dell’Alzheimer è il risultato di scoperte nel campo della genetica.
L’invecchiamento continua a rappresentare una delle maggiori sfide delle società moderne. Per garantire una vita attiva e appagante agli anziani, abbiamo bisogno di strategie efficaci che promuovano la salute e il benessere nelle ultime fasi della vita. La domanda è cosa significa invecchiare nel nostro mondo e nel nostro tempo. Si tende a limitare il fenomeno dell’invecchiamento al campo della medicina. Tuttavia, questo è riduzionista, perché l’invecchiamento non è una malattia, anche se è spesso accompagnato da altre condizioni e malattie.
In onore di A. Mariazinha, mia nonna,
Mariana Correia