Recovery, il modello che sta rivoluzionando l’assistenza nella salute mentale

Il modello Recovery ha rivoluzionato l’assistenza nella salute mentale rimettendo la persona al centro del proprio percorso di recupero. A differenza degli altri approcci più tradizionali, questo modello promuove la partecipazione attiva dell’utente, conferendogli il potere di decidere sul proprio benessere e futuro e al contempo si promuove una rete di sostegno sia professionale che comunitaria. Nella Rete di Salute Mentale San Benito Menni, della Provincia di America Latina, questo approccio ha portato con sé cambiamenti significativi, promuovendo l’autonomia, la corresponsabilità e la speranza negli utenti che ora possono vedere oltre le loro diagnosi e sintomi.

 

Francisca Díaz, psicologa e coordinatrice assistenziale della Rete di Salute Mentale San Benito Menni, a Santiago, Cile, ci racconta qualcosa su questo innovativo modello.

 

Ci puoi spiegare brevemente in cosa consiste il modello Recovery e in cosa è diverso rispetto gli altri approcci relativi alla salute mentale?

 Recovery è un modello organizzativo di assistenza nella salute mentale che mira a creare le condizioni e le relazioni tra persone che permettano, a chi è stata diagnosticata una malattia mentale, di fare esperienza di recupero, ossia di recuperare un ruolo significativo nonostante la diagnosi e i sintomi, e che colloca l’utente al centro degli interventi. Si differenzia dagli altri modelli nel fatto che il potere è restituito all’utente, mentre gli altri modelli vedono la persona passiva, inesperta e non come esperta data l’esperienza; inoltre il Recovery mette in discussione le pratiche del sistema sanitario dove si decide al posto dell’utente, e cerca di creare esperienze di recupero; è l’utente che decide se guarire, no l’equipe di sanitaria, promuovendo una partecipazione effettiva (e collaborativa) nel suo piano di recupero, utilizzando la speranza e la motivazione come motore di cambiamento.

 

Secondo la tua esperienza, come ha contribuito il modello Recovery a migliorare la qualità della vita delle persone che fanno parte della Rete della Salute Mentale San Benito Menni? 

Nella rete di salute mentale del Cile, ha favorito relazioni basate sul rispetto, un linguaggio più proattivo e pieno di speranza; le persone parlano di sogni e questo ha diffuso uno spirito buono per affrontare le difficoltà, ha anche permesso di mettere in discussione le pratiche che infantilizzano gli utenti aprendo la strada alla corresponsabilità, alla partecipazione e all’ascolto di ciò che gli utenti desiderano, che spesso non è ciò che crediamo sia meglio per loro. Stiamo promuovendo attività che incoraggiano l’autonomia e l’individualità e il godimento della capacità di scelta entro le restrizioni delle residenze protette.

 

 Il lavoro comunitario è una parte fondamentale nel processo di recupero dei pazienti. Come viene implementato questo approccio nel modello Recovery che voi utilizzate?

La possibilità di avere un centro diurno con vocazione al recupero ha posto come attività centrale il recupero dei ruoli sociali, l’essere prossimo, l’essere consumatore, il visitatore della città. Quest’anno abbiamo avviato un programma di educazione finanziaria inclusiva che ha reso più semplice uscire nel quartiere per fare acquisti, scegliere le proprie cose personali come preferiscono, generare attività finanziate tra di loro, festeggiare e riprendere il controllo del proprio denaro.

 

Quali sono le principali sfide che affronta nell’applicare il modello di Ricovery nell’assistenza comunitaria?

Ciò ci costringe continuamente a mettere in discussione le pratiche di partecipazione, quanto ci mettiamo al servizio degli altri, a fare maggiori sforzi per generare esperienze affinché loro e noi possiamo credere ancora una volta che in questa vita c’è posto per tutti. Coinvolgere la comunità nella responsabilità collettiva di includere e superare l’esclusione è la grande sfida.

 

Come si integra il carisma ospedaliero, che promuove un’assistenza vicina e compassionevole, nel modello Recovery? Pensi che ci sia una sinergia tra i due?

Recovery è descritto nel modello assistenziale come un modello dinamico, motivo per cui sostiene l’assistenza orizzontale, gentile e amorevole che cerchiamo di fornire nella nostra rete, si collega ai valori ospedalieri in modo fluido, perché umanizza i processi di assistenza e restituisce il protagonismo degli utenti nella loro guarigione.

 

Puoi condividere qualche esempio concreto di come l’approccio comunitario del modello Recovery ha trasformato la vita di qualche paziente sotto le tue cure?

LC è una paziente arrivata da una clinica psichiatrica dove aveva ricevuto molti maltrattamenti. Due anni fa è arrivata in una Residenza protetta e le abbiamo offerto un legame sano e rispettoso, pieno di speranza sulle sue abilità e talenti e grazie a questo siamo riusciti a spostarla da una residenza alla Casa protetta, ritenendo che potesse stare in un ambiente con meno supervisione e maggiore libertà e autonomia. In seguito, le abbiamo offerto di far parte di una certificazione di esperto tra pari , tramite la quale la sua missione era essere una co-aiutante insieme ai membri della equipe sanitaria primaria al fine di parlare dello stigma. Mi ha accompagnato a parlare con gli studenti universitari raccontando loro dell’esperienza di esperto tra pari. Oggi ha ottenuto un lavoro, dopo anni di esclusione sociale, si è battezzata ed è stata una festa per tutta la Rete. Il suo sogno di guarigione è conservare il lavoro e vivere da sola. Oggi si sente guarita.

 

Il modello Recovery pone l’accento sulla costruzione di reti di supporto che vanno oltre gli operatori sanitari. Che ruolo giocano le famiglie e le comunità nel successo di questo modello?

Lavorare con le famiglie è una sfida, le famiglie presenti sono disponibili a riflettere sul Recovery, ma la maggioranza non ha famiglia e la rete cerca di contenere questa assenza con la presenza e questo nuovo linguaggio di speranza. Credo che le istituzioni e la comunità di quartiere abbiano mostrato sensibilità per l’inclusione sociale e lo notiamo quando chiediamo loro aiuto per promuovere l’autonomia nelle questioni quotidiane: la fiera, la messa, la scuola, il quartiere. La famiglia e la comunità sono invitate a prendere parte alla guarigione.

 

La spiritualità è una componente importante del carisma delle Suore Ospedaliere. Come viene affrontata la dimensione spirituale nel contesto del modello di recupero?

Credo che il principio della speranza del Recovery sia il punto d’incontro con il carisma ospedaliero, perché facilita il collegamento con lo scopo personale e collettivo, di avere fiducia che ci sia qualcosa di più, che possiamo chiedere aiuto per realizzare ciò che desideriamo. La storia delle sorelle fondatrici è di grande ispirazione per credere nei nostri sogni e se lo facciamo con gli altri, è un percorso più leggero.

 

Infine, guardando al futuro, quali innovazioni o miglioramenti ritieni potrebbero essere incorporati nel modello Recovery della Rete di Salute Mentale San Benito Menni?

Per continuare a migliorare l’assistenza comunitaria? Oggi stiamo migliorando la formazione sul modello assistenziale e sul Recovery, facendo riflessioni e cambiando le pratiche. Gli utenti, la comunità delle suore e l’équipe dei professionisti si stanno allineando, ma la sfida sono i caregiver, i quali possono trovare un senso nel loro lavoro quotidiano e comprendere che anche  il loro modo di connettersi con gli utenti fa parte dell’esperienza di recupero di questi ultimi.